Che brutta piega sta prendendo il rap italiano

Per uno valido ce ne sono dieci che rovinano l’ambiente. D’altronde, succede sempre così quando un genere di nicchia balza agli onori della cronaca.

Il Rap Italiano della seconda ‘Golden Age’ (la prima è quella vissuta dai pionieri a cavallo degli anni novanta) è un fenomeno variegato. Fa tendenza, fa i numeri, fa scalpore ma suscita anche numerosi scandali. In media uno ogni due settimane.

Tutti si chiedono di chi è la colpa, ma nessuno vuole assumersela. Perché farlo, poi? Apparentemente le cose vanno a gonfie vele. Fabri Fibra collabora con Elisa e Neffa per il suo nuovo album in uscita, Marracash conduce gli Mtv Days, i Club Dogo fanno uno loro reality in tv, stimolando orde di ragazzini a vivere come loro. La tendenza, in poche parole, c’è e si percepisce.

Come se il tutto fosse una grande bolla. I problemi sono due: il primo riguarda alcuni personaggi ambigui che gravitano in questa grande bolla. Il secondo concerne il fatto che ogni bolla, prima o poi, scoppia.

E al rap italiano, ciò, è già capitato, proprio dopo la prima ‘golden age’. Ben diversa dalla seconda, intendiamoci. Se facessimo una classifica delle 10 peggiori canzoni di rap italiano ce ne accorgeremmo all’istante.

Già, perché questa è l’era delle Sara Tommasi che si svegliano un giorno e decidono di fare un album rap (facendosi aiutare peraltro da un nome storico dell’ambiente, quel Flycat che qualcuno ricorderà come rapper e come capostipite della primissima generazione di writer milanesi). A tal proposito, avete visto il video rap di Sara Tommasi?

Ma è anche l’era in cui Morgan parla ad X-Factor del rap, facendo nomi e cognomi, dimostrando di avere un po’ di confusione in termini di terminologia e di avere alcuni ‘buchi’ a livello culturale. Ascoltare per credere..

Come se non bastasse, è un periodo in cui regna il ‘tormentone’. Tutti cercano il tormentone, pochi salvaguardano la qualità. I tormentoni si sa, sono merce per i discount, ben confezionati fuori ma poco nutrienti dentro.

Merito (o demerito, dipende dalle prospettive) dei numeri e della possibilità di ‘guadagnare’ con questa musica?

Così, per forza di cose, la domanda sulla brutta piega che sta prendendo il rap italiano, andrebbe rivolta tanto agli ascoltatori quanto agli addetti ai lavori.

Il vero rap italiano non è e non può essere rappresentato da Sara Tommasi, né può farsi carico della pseudo-ignoranza in materia di Morgan per restare sulla cresta di un’onda che imbarca fenomeni da Youtube, veline e personaggi che si vantano di avere uno Zio d’America. Il vero rap italiano, insomma, dovrebbe e potrebbe fare a meno dei suoi sotto-generi di consumo.