L’ottantesino compleanno di Yoko Ono

La discordia è donna. La storia che accomuna la fine dei Beatles e la seconda moglie di John Lennon è di un rosa torbido che non ha mai perso quella sua tinta fosca, neppure quando il sangue ha colorato la saga di rosso, seppellendo Lennon ma non la vicenda. Oggi che Yoko Ono compie ottanta anni sarebbe bene dare un’altra tonalità a tutto questo capitolo. Ci starebbe bene un bel bianco, come i capelli degli anziani, visto che tutti i protagonisti, o almeno quelli ancora in vita, hanno ormai una certa età e che le loro gesta hanno riempito pagine e pagine.

Pagine che, tra l’altro, il tempo non può ingiallire. Si tratta di personaggi attualissimi. Precursori. Anche lei, la giapponese che finanche Elio E Le Storie Tese hanno incolpato e sbeffegiato, è stata seminale per lo stato dell’arte mondiale. Musica compresa. Già prima delle sue timide intromissioni rock nei Fab 4 si era esibita a fianco di  John Cage e Ornette Coleman.

E il poi è stato fantastico: la Ono Plastic Band ha varcato le soglie dell’elettronica, ha portato il punk verso la propria genesi e coniato un concetto di art-rock inaugurale.

Sì, l’arte è la passione principale di Yoko, tant’è che l’ha coniugata in mille forme diverse, dalla fotografia alla pittura, passando per i suoni e per il corpo. Ha sempre amato il nudo e l’interattività, da quando l’opera era se stessa, di fronte al pubblico, che per il tramite di forbici messe in mano agli spettatori restava adamitica. Senza contare la sua ultima provocazione: le foto di seni e vagine con le quali ha colorato Liverpool, in occasione di una recentissima biennale, un’istallazione contestatissima, certo, ma che più di ogni altra ha ricondotto l’uomo alle sue origini: il grembo materno. E quella città era stata la culla del suo grande amore, la sua mamma insomma.

Che sia stata l’altra metà della mela, che poi i Beatles la mela la presero proprio da una sua opera, oppure una rovina per la vicenda Beatles, la vita di Yoko Ono è uno dei racconti più belli della storia moderna, con derive che la portano dalle macerie della seconda guerra mondiale ai movimenti newyorkesi di fine anni 60, e poi oltre ed oltre ancora, tra il pacifismo anti conflitto in Vietnam alla fondazione che lei stessa ha aperto per premiare artisti nati in zone colpite dai conflitti. Una coerenza che le fa onore e non si placa.

Oggi si batte per i matrimoni tra gli omosessuali ed ha inciso qualche pezzo house; Hold me è un singolo realizzato a quattro mai con il dj Dave Audé che ha il sound di un dubbio: che la dance sia ormai l’ultimo rifugio dei dadaisti?

Il suo ultimo rifugio, quello di Yoko, è invece Berlino. Sean Lennon dice che è la città più amata da sua madre. Tant’è che ha deciso di festeggiare lì un compleanno importante come questo.

La scorsa notte, al teatro Volksbuhne ha infatti  spento le candeline in un concerto-evento. La Plastic Ono Band era densa di nuovi membri: c’erano, tra gli altri, il chitarrista dei Wilco Nels Cline, la polistrumentista dei Cibo Matto Yuka Honda e un parterre di ospiti che spaziava dal leader dei R.E.M. Michael Stipe a Rufus e Martha Wainwright fino a Robyn Hitchcock. Un super gruppo. Una festa che hai intonato Happy Birthday in inglese e tedesco, per poi farle da coro in Give Peace A Chance. Un po’ come se la pace tra lei e la storia, compresa quella dei Beatles, sia ancora da invocare, pure tra il bianco di oggi che stinge il rosa in colore nuovo e più tenue. Un bianco che non può ingiallirsi come le pagine di libri che nessuno legge più.