Addio ad Enzo Jannacci, il poeta con le scarpe da tennis

Aveva 77 anni. Era malato da molto tempo, e tutti erano più o meno in attesa che arrivasse la terribile notizia. E la notizia della morte di Enzo Jannacci è arrivata ieri nella tarda notte.

Il cantante chirurgo si è spento durante la notte a Milano, la sua città natale, la città che lo ha visto nascere come uomo, come professionista e come artista.

Tante vite in una sola. Di giorno Enzo Jannacci vestiva i panni del cardiologo, una professione seria e difficile, dura da affrontare, che poi di notte esorcizzava indossando i panni del musicista, di un grande musicista.

Diplomato al conservatorio in pianoforte, armonia e direzione d’orchestra, una specializzazione in cardiochirurgia dall’altra, e una vita divisa in due, come divise sono il giorno e la notte. Quei giorni che Enzo Jannacci passava in ospedale con il camice bianco e quelle notti durante le quali, invece, metteva le scarpe da tennis e si metteva davanti ad un microfono, sentendosi perfettamente a suo agio a cantare le sue parole o a suonare uno strumento.

Una lunga carriera di musicista, vissuta durante il periodo in cui a Milano sono nati i più grandi artisti italiani, quella particolare generazione che, oltre ad Enzo Jannacci, ci ha regalato Giorgio Gaber, Dario Fo, Roberto Vecchioni e, successivamente Paolo Rossi Cochi e Renato.

Artisti a tutto tondo questi, molti dei quali hanno sempre abbinato alla musica una professione seria che non hanno mai abbandonato: Enzo Jannacci ha esercitato la sua professione di cardiochirurgo fino al pensionamento nel 2003, lo stesso anno in cui è scomparso il suo più caro amico e collega, Giorgio Gaber.

Forse è proprio questo il segreto di artisti come Enzo Jannacci, rimanere ancorati alla realtà al di fuori dell’arte e sdrammatizzare quella realtà attraverso l’arte. Un approccio al mondo che gli ha permesso di scrivere pagine indimenticabili della storia della musica italiana, pagine scritte con tanta ironia ma anche con tanta intensità e compartecipazione verso i deboli, gli emarginati, i soli.