Le migliori esibizioni della terza serata di Sanremo 2013

 

Ci sono tutti. Anche se fosse solo per un ruolo da detrattori: nessuno si esime da sbirciare sulla prima rete, in questi giorni. Perché Sanremo è Sanremo, si continua a dire. Uno spot che funziona ancora. Del resto l’ingranaggio resiste, sebbene dei piccoli accorgimenti siano necessari.

È curioso notare come ogni cantante in gara avesse due brani da eseguire, poi ridotti ad uno dal voto di pubblico e sala stampa; ebbene sacri e profani pare abbiano lo stesso orientamento.  Sì, la gente a casa e gli addetti ai lavori stanno manifestando le stesse preferenze, come specifica Fazio. Comunque i giornalisti si sono infuriati con i telespettatori che secondo loro mancano di buongusto. Una stranezza che è consuetudine, almeno, quanto l’immortale festival.

Un successone questo è chiaro, o almeno non si finisce di dirlo nei palinsesti radio e tv; tra l’altro sono tre giorni che non si parla d’altro. Marzullo, poi, dopo ogni serata, si collega con New York e con gli immigrati italiani all’estero addirittura. Il made in Italy funziona? Questa sì che è una bella domanda.

E allora tocca esaminare le migliori esibizioni di questi giorni per capire bene quali sono le nostre peculiarità. Si parte dagli Elii. Cosa saremmo senza l’ironia? Già, perché se Berlusconi lancia il monito che non si debba parlare del Papa sul palco dell’Ariston, Le Storie Tese si presentano vestiti da Cardinali, ovvero obbediscono e controbattono senza dire nulla in merito. Peccato che il loro motivetto, La canzone mononota, non sia all’altezza della vecchia Terra dei cachi, ma resta lo spirito, l’arte di arrangiare o arrangiarsi, caratteristica tricolore che fa ancora ridere e sorridere.

Gazzè, invece, punta sul look. Eleganza italiana o quasi. Per il resto sembra cantare una cover della Banda Bardò, se pure svincolata da ogni bandiera politica, almeno all’apparenza. Ah, l’apparenza, quella non inganna: lo smalto nero di Max fa molto rock’n’roll e lo riporta tra gli stimabili. Peccato solo che il voto delle due giurie abbia escluso la più bella tra le sue due canzoni, la più affine ad un repertorio di carattere, in favore, invece, di una marcetta colorata. Sarà per la prossima volta, quando deciderà di riprendere smalto seriamente. 

Gualazzi è serioso, impacciato, bravissimo. Qualcuno dice che sia sopravvalutato, e magari è anche vero, ma si sceglie il meno peggio, anche in politica, quindi è usuale. Ed è usuale anche ricondurre il suo cantare e suonare ad una modalità colta ed europea, su questo non ci piove. Una tradizione classica, propria alla culla della civiltà. Peccato che, poi, le classifiche vadano in tutt’altra direzione. Ma come avrebbe detto Fausto Bertinotti: “è il pluralismo, bellezza”.