10 canzoni degli anni ’80 per una playlist originale

Changes – Yes

Uno dei motivi per cui ho sempre guardato agli anni ‘80 con un po’ di diffidenza musicale è questo: sono stati la tomba artistica di molti artisti che avevano raggiunto il proprio apice nei due decenni precedenti. Una decade che si apre con la morte di John Bonzo Bonham e con l’omicidio di Lennon, del resto, non può che partire con il piede sbagliato.

Per fortuna non tutti finiscono per pubblicare il loro “It’s Hard”, come gli Who. Ci sono anche professionisti di livello assoluto, come gli Yes, che interpretano lo zeitgeist a modo loro, si ripresentano con una formazione completamente rinnovata e ti sfornano una roba come 90125. Un album capolavoro, praticamente privo di brani dalla funzione “riempitiva”, da cui ho scelto questa Changes, miracolo di controtempi molto più interessate dell’ormai inflazionatissima Owner of a Lonely Heart.

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99 Luftballons – Nena

Se da un punto di vista musicale gli anni ‘80 non hanno brillato, non si può certo dire che un punto di vista politico sociale si sia assistito al meglio che il mondo avesse da offrire. I grandi temi della protesta, dopo due decadi di indigestione, trovano poco spazio nella produzione musicale e finiscono per essere “irregimentati” nel mainstream, sfociando in eventi come il Live Aid di Bob Geldof.
99 Luftballons, brano contro la guerra della tedesca Nena, è quanto di più lontano da una canzone di Bob Dylan: scala le classifiche internazionali e diventa la canzone in lingua tedesca più venduta di tutti i tempi, senza che in fondo il messaggio originale arrivi mai a destinazione. Forse anche perché la canzone era in tedesco, in effetti.

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Born in The USA – Bruce Springsteen

Gli anni ‘80 sono un decennio di restaurazione, con un economia americana che si fa forte di un benessere illusorio e con una ripresa di quell’orgoglio patriottico che nei ‘60 e nei ‘70, con la guerra del Vietnam ancora in corso, era stato messo seriamente in discussione.

Il giovane Bruce Springsteen va controcorrente e pubblica un’album che, sebbene metta in discussione tutto questo, finisce per essere superficialmente interpretato con spirito patriottico. A tutt’oggi molti repubblicani ignoranti, negli States, usano Born in the USA come colonna sonora delle proprie iniziative conservatrici, senza rendersi conto che “the joke is on them”.

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Tracks In The Dust – David Crosby

Se c’è chi, come gli Yes, riesce a produrre capolavori che scappano fuori dal buco nero, altri abbracciano le tenebre con tutta l’inerzia che hanno a disposizione. E’ il caso di David Crosby, che ad una generale crisi creativa negli anni ‘80 aggiunge una crisi personale fatta di droghe e alcool che sfocia in un arresto per il possesso di un arma da fuoco non dichiarata.
Con una forza che nessuno gli attribuiva più Crosby risorgerà nella seconda parte della decade.
Tracks in the Dust è un piccolo capolavoro dal suo Yes I Can, del 1989. Una perla d’altri tempi che non ha nulla a che fare, musicalmente, con la decade durante la quale è stata prodotta.

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Layover – Michael Hedges

Nel 1981 Michael Hedges pubblica il suo primo album, Breakfast in the Field. E’ un album di pezzi per chitarra acustica solista, con accordature aperte che creano atmosfere sognanti, sonorità e armonie originali che prendono in prestito da tanti generi diversi.
E’ quanto di più lontano dal sound degli anni ‘80 ed Hedges è la prova che anche in quel decennio la musica poteva essere qualcosa di diverso.
Michael non raggiungerà mai la fama planetaria, il suo genere non si presta al mainstream. Avrà però il riconoscimento dei suoi pari e artisti come Graham Nash e David Crosby finiranno per “adottarlo” artisticamente, collaborando con lui a più riprese. E’ suo il giro di chitarra in Tracks In the Dust.

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