Quella volta in cui 1727 Wrldstar rappava per Mussolini e non lo abbiamo ignorato

1727 wrldstar

Sì, ancora una volta su 1727 Wrldstar e ancora una volta su un soggetto che non può nemmeno far parte del trash italiano. Il trash, come il rispetto, devi meritarlo. Da quando è approdato nelle nostre vite con quello schianto sfigatissimo contro il muro in diretta Instagram – frate’, quello non è un incidente, te lo dico – tutti ci siamo accorti che era in arrivo un altro fenomeno.

Il boss è solo

Anche i freaks, un tempo, erano fenomeni. Anche il tizio che sbraita da solo sull’autobus spezzando la quiete e l’individualismo di ognuno, è un fenomeno. Il fenomeno 1727 Wrldstar non è certo la realtà più estrema che i social abbiano vomitato fuori. Prima di lui abbiamo incontrato il suo amichetto Er Brasile, in Sardegna c’era l’incacchioso Christian Pinna e ogni provincia coltiva il proprio finto boss che si spaccia per uno che detiene il potere.

Sì, anche Algero Corretini ti dice “Nun ce stanno problemi, fratelli’, te dico fermete fratelli'”, un po’ per farti capire che devi essergli amico e un po’ per dirti che lui fa quello che vuole. C’è la farsa del padre, poi, che finge di contrastarlo ma che nella sua finta indifferenza crea il supporto per la sua meccanica mentale di imprecisione. Oggettivamente Algero è uno solo. Finché le cose funzionavano con Simona Vergaro poteva dire, a parole sue, di avere una dimensione. Ora non gli resta niente, e noi gioiamo. Sì, perché le donne non si picchiano ma noi abbiamo partecipato alle sue dirette, gli abbiamo dato la benza per non sbrodare in mezzo all’autostrada della viralità, ed eccoci qui.

Mussolini

Senza Instagram né Twitch, 1727 Wrldstar sarebbe rimasto il pischellino disadattato che cantava Mussolini, ma inconsapevole che durante il Ventennio lo avrebbero legato a un treno in corsa dalla parte dei testicoli. Ascoltate quel brano, fatelo. Su, non ripetete il ritornello di “eh ma kosì je dai visibilità frate'”, ma dai che bravo che sei. Ascolta quel pezzo e renditi conto di cosa hai fatto.

Ho preso la tua tipa, uh
Ci ho fumato al bagno una siga, ya
Ha preso il ca–o e lo voleva
Ha preso il ca–o e lo sognava
Ha preso il ca–o e lo chiedeva

Roba da Duce, proprio, un manifesto politico che lui stesso aveva definito satirico, anche se non ha mai nascosto la sua passione per l’estrema destra. Che poi, che ne può sapere un Angelo Corretini di “satira”? Uno che picchia le donne, figlio di un padre che dice che “una pizza può scappa’”, che può saperne di satira, Cristo?

Poteva rimanere nel dimenticatoio, dopo quello schifo cacofonico di Mussolini, ma quelli che dicono “ok boomer” se critichi un sedicente rapper, l’hanno avuta vinta. Ed eccovi 1727 Wrldstar, il vostro orrore preferito.

Angela Chianello è una nostra creatura, accettiamolo

Grande rabbia e forte indignazione per Angela Chianello, personaggio dal profilo basso che se non fosse stato per le telecamere di Mediaset non avremmo conosciuto. Di fronte all’obiettivo negava il Covid, lo faceva con quell’italiano arrancato e quell’atteggiamento che i nordici riconoscono come tipico dei terroni e con quell’arroganza che è tipica di chi impara a memoria le catene ricevute su WhatsApp. Catene che sono Bibbia, legge.

Da esempio di ignoranza a personaggio del momento. Lo abbiamo fatto noi e dobbiamo accettarlo. In primo luogo i format televisivi di una determinata fascia oraria vogliono quello: sdoganare il trash a momento quotidiano, aggiungere espressioni al nostro lessico. Lo abbiamo fatto tra amici, per strada. “Non ce n’è Coviddi”, abbiamo urlato a tutti per strappare una risata. Poi Angela Chianello ha aperto un profilo su Instagram e di nuovo sono arrivate le polemiche.

Lo ha fatto dopo che altri personaggi dello spettacolo hanno ripetuto fino alla nausea il suo motto, tenendo alta l’attenzione su quella donna troppo trash per restare nel dimenticatoio. Elettra Lamborghini, nelle stories, era solita aprire i suoi videomessaggi con “Buongiollo da Mondello”, perché l’ereditiera è paxxixxima, è simpatica, è alla mano, dunque cerca di strapparti una risata mentre si muove tra i preparativi delle nozze extra lusso per farti vedere che comunque è un vip semplice. Anche quando ti mostra la sua camera di Dubai, e devi sapere che qualsiasi tua considerazione su questo continuo sfoggio del suo stato di cose potrebbe farti passare per rosicone. Devi stare zitto, anche quando parli di Angela Chianello.

Per colpa nostra oggi la signora di Mondello funziona come keyphrase per collocare decentemente il tuo articolo su Google. Devi parlarne, se vuoi portare a casa un panino. Oggi criticarla è giusto, ma manca poco alla fase successiva: quella per cui se critichi Angela Chianello sei un rosicone, anche se hai appena perso una persona cara. Perché sì, chi sta elaborando un lutto vorrebbe tanto vederla sparire dai social e dalle tendenze, ma non è così.

Abbiamo fatto in modo che ottenesse ciò che voleva: parlare di leiAngela Chianello ci sta prendendo per il cu*o e ci sta guardando dall’alto della sua montagna di me**a, grazie a noi e per colpa nostra.

Nevermind dei Nirvana usciva 29 anni fa e ancora oggi fa tanto rumore

nevermind dei nirvana2

Quando Nevermind dei Nirvana arrivò al primo posto della classifica Billboard 200, Dangerous di Michael Jackson fu sbalzato via. Non fu il grunge a vincere sul pop, ma quest’ultimo a perdere numeri, soppiantato da una rivoluzione musicale e generazionale che trovava nella band di Kurt Cobain un nuovo grido liberatorio.

Era così: Smells Like Teen Spirit diventò l’ossessione delle radio, della gente, di chi fino a quel momento aveva ascoltato solamente heavy metal e punk e soprattutto l’ossessione di Kurt che in più occasioni abbandonò il palco mentre la suonava. Avevano vinto, i Nirvana, dopo quell’antipasto che era Bleach (1989) e che aveva presentato una band che prometteva ma non riusciva a decollare. Da Seattle arrivava un nuovo ossigeno per coloro che cercavano una nuova dieta sonora.

La Sub Pop contattò Butch Vig e gli affidò la produzione del secondo album. Kurt, Krist e Dave, da poco arrivato per prendere il posto di Chad Channing, giunsero negli studi di Vig a bordo del loro furgone sgangherato. Avevano percorso centinaia di chilometri, erano sfiniti ma pieni di vigore, eppure avevano le idee chiare.

Soprattutto Kurt, che voleva lo stesso sound dei Melvins ma non riusciva a farsi andare bene niente, specie quando Butch Vig gli propose di sdoppiare la voce: “No”, disse Kurt, ma Vig gli ricordò che era una pratica usata anche da John Lennon. Lo convinse.

Il risultato, grazie al mixaggio di Andy Wallace, fu un disco grunge che suonava un pop fortissimo, e viceversa. Smells Like Teen Spirit, In Bloom Come As You Are furono le prime tre tracce, furono i singoli che lanciarono i 3 ragazzi al grande pubblico.

Il miracolo era compiuto: Nevermind dei Nirvana era ciò che il pubblico aspettava, ma anche ciò che un giorno avrebbe divorato Kurt Cobain portandosi via la sua giovinezza e il suo entusiasmo. Il capolavoro aveva creato troppe aspettative e per questo Kurt sentiva che non sarebbe più riuscito a raggiungere quel livello. Non era vero, In Utero (1993) fu probabilmente migliore di Nevermind dei Nirvana, ma in ogni disco della band di Kurt Cobain c’è un pezzo fondamentale della scena alternativa degli anni ’90, che senza quel disco non avrebbe avuto la spinta propulsiva.

Il senso dei big per le cover che dobbiamo per forza apprezzare, ma perché?

big per le cover

Per la musica italiana è un brutto momento, e il senso dei big per le cover ce lo dimostra. Dopo la pessima figura del Bocelli negazionista, che ci ha fatto capire quanto l’artista si renda intoccabile agli occhi degli adulatori e quanto sia facile al perdere punteggio di fronte a una sua esternazione, durante l’estate ci è toccato lasciarci crivellare dalle continue cover delle popstar per l’iniziativa I Love My Radio. Un’idea buona, tutto sommato, ma che ci ha resi prigionieri.

“Tiziano Ferro è bravissimo, ha duettato con Massimo Ranieri”“Biagio Antonacci canta Battiato, un sogno”, ma de che? No, deponete le armi: nessuno vi sta dicendo che le versioni originali siano intoccabili e anzi, la storia ci insegna che tantissime volte i remake si siano rivelati migliori dell’originale – e dai, gli esempi sono tantissimi – ma la pioggia torrenziale di tributi dei big alle grandi canzoni del passato ci ha martellato per tutta l’estate.

Complice il COVID-19, complice quello sforzo di infondere serotonina nelle nostre giornate provate dal lockdown e dalla fobia sociale, dall’ipocondria e dall’ansia, le popstar sono passate dalle grandi dirette su Instagram all’horror vacui riempito come un imbuto. Il risultato è quel Tiziano Ferro che canta Rimmel di Francesco De Gregori, un episodio che non è dei peggiori (Ferro è un eccezionale performer) ma che tradisce la perdita di originalità, la prigione del mainstream e quell’ossessione di diventare nazional-popolari attingendo dal cantautorato più classico e profondo.

Oggi le popstar fanno il disco per placare l’hype dei follower – sì, dei follower e non dei fan – e quando non hanno una fava da proporre si buttano sulle cover. Funzionano, creano il cross-posting in assenza con gli autori originali, strizzano l’occhiolino al classico e passano per persone grate alla storia. Quale sarà il prossimo disco di Tizio? Un disco di cover. Oddio, Caio ha pubblicato un post e scrive: “Ho grosse novità in arrivo!”, poi scopri che è una cover.

No, amici, fatela finita, pigliatevi più tempo per scrivere qualcosa di decente e tirate fuori un disco che abbia senso, che non sia solamente un ticket da staccare per la vostra carriera e l’ennesimo post sponsorizzato sui social. L’ossessione dei big per le cover sta letteralmente sfuggendo di mano.

In memoria di Chester Bennington, così caro a noi e così caro agli dei

Il 20 luglio 2017 ci lasciava per sempre Chester Bennington. Voce di una nuova generazione, speranza per la scena alternative, autorevolezza nel nu metal e artista capace di cambiare contenitore mantenendo quell’attitudine viscerale e quasi romantica, dannatamente forte e convincente.

Con i Linkin Park aveva dominato la scena a partire dai primi 2000, quando le più grandi band avevano già dato. Per questo si parla di speranza: quando il mondo intero soffocava nell’horror vacui, quel vortice tremendo di insicurezza e smarrimento, arrivarono loro e tutti ritrovammo la calma. Una calma nervosa, certo, dal momento che la voce di Chester Bennington riusciva ad ammaliarci e a distruggerci.

In The End è di sicuro il brano simbolo di una generazione disorientata: cupa e profonda nella strofa e nello special, distruttiva e tagliente nel ritornello e, ancora una volta, nello special. Chester era così: delicato e indifeso nei segmenti più profondi, devastante e definitivo quando c’era da alzare la voce. Parliamo di From The InsideBreaking The HabitNumb, se vogliamo considerare gli esempi più intimi, ma quando Chester ci dava dentro era in grado di schiaffeggiare chiunque con Faint, Given Up e tutto ciò che era distorsione e scream.

Il 20 luglio 2017 il suo corpo fu ritrovato impiccato nella sua residenza di Palos Verdes Estates, in California. Chester aveva perso la sua battaglia contro la depressione e aveva speso la sua intera esistenza a mostrarci quella parte di sé che gridava a squarciagola in tutti i suoi brani. La storia di Chester Bennington è un racconto sul dolore, qualcosa che lo divorava ogni giorno di più e dal quale tentava di liberarsi vomitandolo sul microfono, ora dall’alto di un palco e ora dall’intimità di uno studio.

Due mesi prima aveva dato l’estremo saluto all’amico e collega Chris Cornell, frontman dei Soundgarden e degli Audioslave nonché voce di una generazione precedente, quella cresciuta con il sound di Seattle. Chris Cornell, quello di Black Hole Sun, si era tolto la vita.

Oggi, probabilmente, a 3 anni dalla morte di Chester Bennington ci sentiamo ancora tutti in colpa e probabilmente qualche responsabilità la abbiamo. Non importa: sentirsi in colpa per Chester Bennington significa ricordarlo, e questa è cosa buona e giusta.

35 anni fa la storica esibizione dei Queen al Live Aid, l’evento che creò la leggenda

Rivedere i filmati dell’esibizione dei Queen al Live Aid significa visionare quel momento in cui 4 ragazzi con una carriera brillante alle spalle diventarono una leggenda. Ci aveva visto lungo Bob Geldof che seppur avesse colto la band in un momento di forte crisi insistette tanto perché Freddie Mercury e compagni salissero sul palco del Wembley Stadium di Londra.

Lo aveva detto lo stesso John Deacon, bassista talentuoso ma sempre nell’ombra, pur essendo artefice del trascinante riff di Another One Bites The Dust: i Queen erano ridotti a 4 persone che suonavano insieme, non c’era più l’affinità che li teneva legati agli esordi.

Portare i Queen al Live Aid significava trovare i testimonial più autorevoli di quegli anni, e la loro esibizione diventò una sorte di anno zero della band britannica che già aveva trascinato folle con la barocca Bohemian Rhapsody, aveva regalato un coro agli stadi con We Are The Champions, aveva creato legioni di fan con We Will Rock You e aveva dato un senso agli anni ’80 con Radio Ga Ga.

Quegli stessi brani furono messi in scaletta con un Freddie Mercury che entrava in scena sollevando il pugno, indossando un outfit che sapeva molto delle “prime cose che si trovano nell’armadio” e facendo gridare la folla ammiccando, ballando sul palco e intonando tutti i brani senza sbagliare una nota. Il pubblico, la cui voce venne catturata anche dai microfoni del palco, cantò a squarciagola tutte le canzoni.

La partecipazione dei Queen al Live Aid rubò la scena a tutti per stessa ammissione di Elton John che scherzosamente li apostrofò con “bas***di”. Non è un caso se quell’esibizione è stata scelta come sequenza di chiusura del biopic Bohemian Rhapsody di Bryan Singer con il premio oscar Rami Malek.

Lo scopo del Live Aid, organizzato nel Regno Unito a Londra e negli Stati Uniti a Philadelphia, era quello di raccogliere fondi per l’Etiopia e l’obbiettivo fu ampiamente superato. Ancora oggi la manifestazione è ricordata come il più grande evento rock di tutti i tempi.

Con il live dei Queen al Live Aid iniziò la leggenda di Freddie Mercury che diede esempio delle sue enormi doti di frontman e performer.

Musica per la quarantena: ecco 4 album italiani che dovremmo riscoprire (parte 2)

Il distanziamento sociale, in moltissimi casi, ha generato più tempo libero ed è arrivato il momento di scegliere la nostra musica per la quarantena, una selezione libera di 4 album che probabilmente, prima di questo lockdown, avevamo ignorato. Tra un impasto per il pane e una torta secca, quindi, mettiamoci comodi e apriamo la mente.

Anima Latina di Lucio Battisti (1974)

Il Lucio Battisti meno pop, meno sole-cuore-amore-emozioni e più onanista, erotico, avanguardista e rivoluzionario. Lo stesso cantante di Poggio Bustone definì Anima Latina un episodio a sé della sua carriera, un esperimento unico. Di rientro da un viaggio lungo l’America Latina, la voce di Non è Francesca volle fare qualcosa di diverso e vi riuscì: Anima Latina è un disco che naviga nelle acque del progressive rock, si immerge nei sintetizzatori di Gneo Pompeo e offre canzoni che sono piccole suite psichedeliche e piene di bellezza.

Ko De Mondo del Consorzio Suonatori Indipendenti (1994)

I CCCP erano finiti quando crollò il muro di Berlino, e per questo dalla nuova Comunità degli Stati Indipendenti, nata dopo l’URSS, gli ex militi di Giovanni Lindo Ferretti trovarono nuova linfa nel Consorzio Suonatori Indipedenti. Ko De Mondo era il primo album della nuova esperienza, e dopo un decennio di punk militante la band prese una virata più vicina all’alternative rock. I punti di forza sono Celluloide, A TrattiDel MondoIntimisto Memorie di una Testa Tagliata, e contestualizzare l’album nel cambiamento spirituale della squadra di Ferretti è d’obbligo: c’è smarrimento spirituale, c’è protesta e c’è innovazione, specialmente grazie alla presenza di Giorgio Canali alle chitarre e Gianni Maroccolo al basso.

Outside The Loop Stupendo Sensation dei Meganoidi (2003)

Con il primo album Into The Darkness, Into The Moda (2000) ci era sembrato di ascoltare la versione genovese dei Punkreas, ma con questo secondo album i Meganoidi si spostarono verso orizzonti più vicini al post-rock e sempre più lontani dallo ska-punk, creando un ibrido che ancora oggi ha poche imitazioni. Non solo l’intensa Zeta Reticoli, ma anche la title-track, l’adrenalinica For Those Who Lie Awake e la rabbiosa My Redemption Song fanno di questo disco una piccola perla della scena alternativa italiana.

Pipes & Flowers di Elisa (1997)

Negli anni ’90 c’era un forte bisogno di un’artista come Elisa: per questo Pipes & Flowers resta un episodio importante della scena alternativa italiana. Qualche anno più tardi la cantautrice di Monfalcone avrebbe ceduto al fascino della canzone italiana – non senza guarnirla con il suo genio disturbato – ma il suo primo disco resta uno dei momenti più interessanti della sua carriera. Pochi mesi dopo la sua uscita avrebbe lanciato la versione estesa con l’inedito Cure Me, ma già nella prima versione si trovavano vere e proprie bombe come LabyrinthSleeping In Your HandA Feast For Me, Shadow Zone. La Toffoli era ancora una ragazzina, ma abbastanza curiosa e consapevole da collocarsi perfettamente negli anni più belli della scena alternativa italiana.

Gli episodi in cui selezioniamo la musica per la quarantena continuano.

Musica per la quarantena: ecco 4 album italiani che dovremmo riscoprire (parte 1)

Il distanziamento sociale, in moltissimi casi, ha generato più tempo libero ed è arrivato il momento di scegliere la nostra musica per la quarantena, una selezione libera di 4 album che probabilmente, prima di questo lockdown, avevamo ignorato. Tra un impasto per il pane e una torta secca, quindi, mettiamoci comodi e apriamo la mente.

La Buona Novella di Fabrizio De André (1970)

Boom, partiamo con il Faber che a questo giro aveva anticipato quel Jesus Christ Superstar. La Buona Novella era soltanto il quarto album del cantautore genovese, ma si poteva già dire che la sua mente poteva concepire di tutto. Un album che rasenta il prog, un concept ispirato ai vangeli apocrifi e una lode al Signore come solo De André poteva immaginare.

La Fabbrica Di Plastica di Gianluca Grignani (1996)

Che c’entra Grignani con i dischi storici? C’entra, perché La Fabbrica di Plastica è stato un calcio in cu*o che il giovane Gianluca diede a quell’immagine da bravo ragazzo che Destinazione Paradiso gli aveva incollato addosso. La Fabbrica Di Plastica era l’opera in cui Grignani liberava il suo amore per i Radiohead e per l’alternative, e la presenza di Massimo Varini alle chitarre e Mario Riso alla batteria dimostrano quanta voglia avesse il giovane ragazzo di sperimentare.

17 Re dei Litfiba (1986)

Dopo DesaparecidoLitfiba 317 Re era il secondo capitolo della trilogia del potere della band fiorentina che aveva sdoganato, insieme ai Diaframma e a tanti altri, la decadente new wave britannica. Per fortuna siamo ancora lontani dalle tamarrate degli anni ’90 come El DiabloMauditFata MorganaDimmi Il Nome: Piero Pelù cantava in modo diverso e gli arrangiamenti erano decisamente meno testosteronici e più intensi. Grazie a hit come Resta, Oro Nero Gira Nel Mio Cerchio17 Re merita quel posto d’onore tra i dischi alternative che hanno scritto la storia della musica italiana.

Requiem dei Verdena (2007)

I Verdena fanno schifo a coloro che sono rimasti a Valvonauta, ma deve essere chiaro che in Italia un album come Requiem non è mai stato scritto. Dopo aver esplorato post-rock e space-rock, Alberto Ferrari e soci ritornarono con un album grezzo, grunge, stoner e potente. Oggi Requiem è un episodio a sé e ancora oggi rimane un punto fondamentale della carriera della band lombarda.

Gli episodi in cui selezioniamo la musica per la quarantena continuano.

In morte di Joey Ramone: l’icona punk ci lasciava 19 anni fa

La morte di Joey Ramone arrivava alle 19:40, ora italiana, in un ospedale di New York. Era il 15 aprile 2001 e la voce dei Ramones si spegneva per sempre. Joey, al secolo Jeffrey Ross Hyman, era ricoverato per un tumore al sistema linfatico e doveva ancora compiere 50 anni. Prima di morire stava ascoltando il brano In A Little While degli U2.

Come scriveva Repubblica poche ore dopo la triste notizia, l’annuncio era stato dato dai compagni di band sul sito ufficiale dei Ramones.

Nato a New York il 19 maggio 1951 nei primi periodi dei Ramones suonò la batteria per poi passare al ruolo di frontman in quanto Dee Dee Ramone faticava a suonare il basso e a cantare nello stesso momento. Con il loro stile i Ramones seppero reinventare il rock’n’roll con canzoni brevi ma abbastanza punk da scrivere importanti capitoli della storia della scena alternativa.

Da Sheena Is a Punk Rocker Rock’n’Roll High School, fino a I Wanna Be Sedated Pet Sematary, i Ramones erano per stessa ammissione di Joey Ramone i Rolling Stones del punk, mentre i Sex Pistols erano i Beatles.

L’emittente MTV nel riportare la notizia descrisse Joey Ramone con queste parole“I suoi marchi di fabbrica come la giacca di pelle nera, i capelli lunghi fino alle spalle, i jeans strappati e la sua voce semplicemente stupenda fanno di Joey Ramone il padrino del punk“.

“Padrino del punk”.

Ciò che fece grandi i Ramones, soprattutto, fu il merito di esser nati in un contesto in cui il mondo subiva il fascino del progressive rock che richiedeva una certa capacità teorica e stilistica. I Ramones ruppero gli schemi un po’ come fecero i Sex Pistols: quasi ogni elemento era autodidatta e i loro brani, seppur molto simili tra loro specialmente nel primo periodo, diedero un senso a quel rock’n’roll che in quegli anni sembrava un fratello disorientato.

La morte di Joey Ramone arrivò pochi giorni prima del suo compleanno e senza avergli mai fatto conoscere il suo primo disco solista, Don’t Worry About Me che conteneva, oltre a brani inediti, le cover 1969 degli Stooges e la bellissima What A Wonderful World di Louis Armstrong.

L’8 aprile 1994 fu rinvenuto il corpo di Kurt Cobain, la lettera d’addio fa ancora tanto male

Erano le 9:40 quando Gary Smith, un’ora dopo aver rinvenuto il corpo di Kurt Cobain, telefonò al suo principale per raccontargli che in quella villa era successa una tragedia. Alle 10 tutto il mondo scoprì che il leader dei Nirvana era morto.

Gary Smith si era recato presso l’abitazione che i Cobain avevano vicino al lago Washington per riparare le luci di sicurezza, quando si accorse del cadavere riverso all’interno della serra. Vide il sangue, vide il fucile e vide quella lettera conficcata nel terriccio che conteneva le ultime parole di un uomo che non voleva essere una rockstar.

Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fans della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l’empatia che ho per tutti. C’è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fo******mente triste. Il piccolo triste, sensibile! Perché non ti diverti e basta? Non lo so! Ho una moglie divina che trasuda ambizione e empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e gioia.

Kurt Cobain aveva 27 anni e solamente il 30 marzo aveva tentato di disintossicarsi insieme alla moglie Courtney Love, ma era fuggito dal centro di disintossicazione senza lasciare traccia di sé. Sua moglie, in preda al panico, aveva ingaggiato un investigatore privato per ritrovare il marito.

Kurt Cobain giaceva in quella serra da 3 giorni, questo dissero gli investigatori. Era morto il 5 aprile da solo, dopo aver scritto quella lettera e dopo essersi sparato un colpo di fucile in pieno volto. Una solitudine che stride ancora oggi e che urla forte da quelle parole apparentemente confuse ma che sembrano, in realtà, l’ultimo schianto di lucidità di un ragazzo pieno di dolore.

Playlist di canzoni: ecco quelle migliori da creare con la tastiera

Suonare è una delle cose che danno più soddisfazioni, in modo particolare quando l’intero percorso di apprendimento è avvenuto interamente da autodidatta. Nel momento in cui si acquista una tastiera professionale per mettersi alla prova, è bene anche avere un’idea piuttosto chiara su quelli che sono i brani più semplici da suonare.
Insomma, si deve sperimentare con dei brani musicali adatti ai principianti., senza mai esagerare. Altrimenti il rischio è quello di trovarsi di fronte ad un impegno eccessivamente gravoso e anche il risultato sarà poco soddisfacente.
Il primo criterio da seguire nella definizione di una playlist di canzoni da creare con tastiera è indubbiamente il livello di indipendenza delle vostre mani. È un aspetto che si migliora solo suonando e suonando sempre di più. Bisogna cercare, in ogni caso, dei brani che abbiano poche note o pochi accordi in un determinato rigo. Ad esempio, “No Woman No Cry” rappresenta un ottimo esempio di arrangiamento
da tastiera molto semplice da eseguire.
Un altro criterio da tenere in considerazione è il movimento delle mani. Più saranno frequenti e repentini e maggiore è la difficoltà del brano che si deve suonare. Per questa ragione, nel caso in cui vi trovate di fronte ad una canzone del genere, è meglio passare oltre.
Nella playlist delle canzoni migliori da suonare con la tastiera non può certo mancare “Per Elisa” di Beethoven, ma solamente alcuni pezzi semplici. Se invece amate la musica pop, soprattutto quella italiana, penso a te” di Lucio Battisti, “Alba Chiara” di Vasco Rossi, “Vivo per lei” di Andrea Bocelli e “Gocce di memoria” di Giorgia. Tra i brani pop-rock, quelli che si adattano meglio ai principianti sono “Love Yourself” di Justin Bieber e “Chasing Cars” di Snow Patrol.

Casio nota azienda giapponese, sa bene quanto le tastiere siano versatili e adatte ad ogni genere di brano. Se vi capita di immaginarvi in salotto a suonare l’ultimo successo di James Arthur, sappiate che potrete ispirarvi a due talenti emergenti della musica e del web come Francesca Sarasso e Gabriele Aprile. I due influencer, di recente hanno utilizzato la tastiera CTX firmata da Casio e hanno raccontato i momenti buffi che spesso si verificano nella quotidianità. L’ultimo video lo trovate sui profili social : FACEBOOK e INSTAGRAM.

Capodanno 2015 in musica a Rainbow Magicland tra artisti famosi e divertimento

Natale con i tuoi e Capodanno con chi vuoi, recita un famoso detto. Non tutti, però, vogliono o possono allontanarsi, organizzando viaggi in giro per il mondo magari alla volta di mete esotiche. Poco male, perché il divertimento è a portata di mano, nel parco più bello e amato dell’Italia centrale. Parliamo di Rainbow Magicland, dove la notte di San Silvestro sarà davvero magica. Mentre fervono i preparativi per l’evento che avrà inizio alle 19 per concludersi alle 5 del mattino, le prenotazioni si moltiplicano e sono rimasti pochi posti per sfruttare tutte le attrazioni presenti, scegliere tra tre diverse possibilità di cenone e ascoltare gli artisti presenti.

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Se hai una passione per la comunicazione digitale, se ti senti portato per le discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda, puoi approfondire le tue conoscenze con un percorso universitario.

Oltre il palcoscenico con la Turandot 2.0 del Teatro Lirico di Cagliari

La musica è proprio questo: uno strumento per andare oltre la realtà, facendosi trasportare dalle sensazioni, dall’atmosfera, dalla passione. Lo sa bene Mauro Meli, Sovrintendente del Teatro Lirico di Cagliari che ha proposto allo spettacolo di Puccini di andare oltre il palcoscenico.